WHITE CUBE satellite Pesaro
presso Centro Culturale Movimento e Fantasia di Cagli (PU)
presenta
"Campo d'attenzione transitorio" di Michela Pozzi
testo critico di Giacomo Podestà
È un’intelligente dicotomia quella che percorre l’opera di Michela Pozzi e che si esplica nella realizzazione di lavori fotografici e video: in entrambi i casi l’artista s’impegna in interventi di “risignificazione” della realtà, così da pervenire ad una dimensione più sincera dell’Esser-ci nel mondo. In questo senso, il lavoro di Michela Pozzi coincide in una preziosa esortazione a rivivere la realtà (sia essa luogo fisico o spazio virtuale dell’immagine televisiva) in una chiave più umana e significativa.
Queste due anime progettuali della poetica dell’artista trovano una felice sintesi nel nuovo progetto (presentato per il White Cube in forma di video) Campo d’attenzione transitorio.
L’intervento artistico si focalizza qui nello spazio intimo ed emblematico di un’edicola religiosa. Traccia umana sul luogo che si esplica nelle forme di una piccola architettura, la nicchia è già di per sé uno spazio altamente simbolico e rappresentativo: posta com’è all’incrocio di due vie essa, infatti, le collega, mettendo così in evidenza la direzione di senso che l’intervento umano ha inteso imprimere in quel luogo. La celletta, recante il ricordo di chi lì la pose, è ulteriormente caricata di significato in fase di montaggio del video tramite l’inserimento al suo interno di un’immagine sovrapposta, come uno schermo televisivo attraversato da frames della Dea Madre (una delle forme più antiche e archetipiche di religiosità), in un gioco di specchi che riflette un luogo (lo spazio fisico della celletta) dentro l’altro (lo spazio virtuale dell’immagine televisiva), così come un video nell’altro.
L’immagine contenuta nella celletta appare intima e leggermente sfalsata, come fosse un ricordo ancestrale (la Dea Madre o il genius loci che dir si voglia) che l’uomo tenta di focalizzare sul luogo: così come la cellula è l’unità minima della vita, la celletta (e la vicinanza etimologica non è qui casuale) si configura allora nel video di Michela Pozzi come unità minima del ricordo, traccia basilare dell’attraversamento dell’uomo su quello spazio. E a sua volta il luogo, caratterizzato dalla celletta, diviene spazio della memoria e della religiosità più intima e ancestrale, quella che lega l’uomo al territorio che ha scelto di popolare e vivificare.
L’intervento artistico di Michela Pozzi è teso a riattuare, soprattutto attraverso gli strumenti della memoria e della personalizzazione, questo forte legame: esso mi pare non solo un’invocazione intimistica allo spirito del luogo attraversato dalla sua telecamera ma si potrebbe dire, in termini heideggeriani, un suggerimento a “prendersi cura” del luogo stesso, ad abbracciarlo cioè di un senso e di un significato inequivocabilmente esistenziale.
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